Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
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“Ma oggi non è il 14 febbraio!”
E invece è proprio così, oggi è il 14 febbraio (per la gioia di tutti i romantici) solo che, come fa notare lui, non c’è bisogno di aspettare un giorno dell’anno per dichiarare (o mostrare) l’amore a una persona.
Che poi questa persona sia la metà del proprio cuore, oppure un amico o amica, un cane, un gatto, un fratello, una nonna o un cugino alla lontana poco importa; voler bene a una persona non lo si deve intendere esclusivamente come il sentimento che unisce due innamorati, occorre tenere in considerazione il significato lasco del termine. Perché sempre di amore si tratta. È la misura del sentimento che è diversa. Un esempio ci aiuterà meglio a capire il concetto.
Esaminiamo la frase Ti voglio bene. È una frase che viene usata prevalentemente tra amici o tra nonni e nipoti o tra padre-madre-figli, raramente tra amanti che si dicono e si sussurrano Ti amo.
Nella sostanza non cambia nulla, il sentimento è quello.
Pronunciare “ti voglio bene” significa “voglio vederti in salute, voglio che tu sia allegro e spensierato, non desidero altro che la tua serenità". Nel momento in cui manifesto questo impulso emotivo all’altra persona le sto dicendo che mi sto preoccupando per lei, che non mi dà noia aiutarla o farle un favore, che non fatico ad assisterla o a rivolgerle una parola di conforto, che me ne prendo cura perché mi sta a cuore il suo benessere fisico e spirituale.
Tutte queste azioni non vengono naturali se non sono sorrette dal sentimento che sta alla base di tutte le relazioni, che è il sentimento di amore.
Un amico lo aiuto, lo ascolto, gli sollevo il morale quando è giù di corda; ci esco, mangio assieme a lui, dormo insieme a lui, viaggio con lui, sono felice quando stiamo assieme o lo rivedo dopo tanto tempo, mi piace la sua compagnia. Faccio notare che una situazione simile è riscontrabile anche in ambito familiare; a tal proposito, mentre scrivo mi sovviene in mente la mia piccola nipotina la quale, appena il fratello varca la soglia della porta di casa al rientro dalla scuola, non gli dà neanche il tempo di spogliarsi e mettersi comodo che se lo abbraccia e non lo molla più, correndogli appresso nel corridoio, nelle stanze e persino nel bagno (è o non è amore questo?).
Stessa cosa succede tra due amanti (le azioni poste in essere sono le stesse), con la differenza che il sentimento è decuplicato perché reca con sé un’intensità maggiore e un maggiore trasporto (ecco spiegato il senso del ti amo invece del ti voglio bene).
E perché non anche con un gatto, un cane, un canarino o un cavallo a cui ci si affeziona più di quanto non succede tra esseri della stessa specie? (Ah, mio caro Snoopy…!).
Occuparsi di loro (in quanto persone e in quanto animali), dedicare loro del tempo e attenzioni non è forse una forma di affetto?
San Valentino sarà pure il patrono degli innamorati, ma se siamo tutti in amore – adesso chi più chi meno, chi in poca o egual misura non stiamo a questionare – perché escludere dai festeggiamenti chi non ha un compagno o una compagna?
San Valentino è una festa stupida, ed è stupida per il motivo di cui dicevo prima: a voi serve un giorno per far vedere a una persona quanto le volete bene, oppure una vita è troppo poca? Cosa fate il giorno dopo? Vi snobbate, vi prendete a calci e pugni, non leggete più i messaggi sul telefono, liquidate tutto con un “ora ho da fare, non ho tempo di stare appresso a te”? Oppure continuate a perseverare, a dedicarvi ad esso, a coltivare ancora quel sentimento, ad innaffiarlo, aiutandolo a farlo diventare sempre più bello e rigoglioso?
Anche l’8 marzo è una festa stupida (ma che festa è? Cosa si festeggia?). Negli ultimi anni ha acquisito più risalto perché sembra – e sottolineo sembra, perché le apparenze sono sempre in vantaggio rispetto alle verità – ci sia più un occhio di riguardo nei confronti della condizione della donna. Sia chiaro, l’attenzione al tema violenza o vessazione (sia fisica che psichica) sulle donne c’è, è reale: se ne parla, se ne scrive, se ne discute, si battaglia per il riconoscimento dei diritti in campo sociale, lavorativo, sull’uso che posso fare del mio corpo, se dare l’utero “in affitto”, se voglio ingrassare, se voglio fare la escort per mia libera scelta senza per questo essere giudicata (per chi vuole approfondire quest’ultimo argomento si consiglia il testo di Valentina Pazé, Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato per Bollati e Boringhieri recensito sulle pagine di Leggere:Tutti), ma la strada da fare è ancora lunga, ed è una strada ripida e sterrata. Serve un cambio di rotta universale che richiede il contributo e lo sforzo ci ciascuno di noi, una collaborazione paritaria tra uomo e donna, un’apertura mentale da parte dell’uno e dell’altra che appiani le “differenze” a cui ci hanno abituato da secoli (per inciso: le uniche differenze sono solo quelle anatomiche, il resto non ha nulla di anomalo o impossibile che non va o che rende un individuo inferiore o superiore all’altro. È una concezione sbagliata che è diventata “norma” perché è stata tramandata per così tanto tempo che è diventata consuetudine concepirla così; la scienza, anzi, dimostra il contrario¹).
Per tornare alle feste, trovo che tutto ciò sia molto insensato anche qualora volessimo estendere il discorso sulla festa del papà e sulla festa della mamma (e su quella dei nonni). Se proprio avete tutta questa necessità di festeggiare allora fatelo il giorno stesso in cui diventate papà, mamma, nonno o nonna, senza dipendere da una data fissata in calendario. Le date servono solo per le scadenze (tasse, medicinali, cibo, prescrizioni, adempimenti burocratici). Siete scaduti voi? (Beh, alcuni sì. Scadono, ma per altre ragioni che non hanno niente a che vedere con le feste).
Cosa diversa sono gli anniversari. Gli anniversari mi piacciono di più, li sento più miei perché nessuno decide per me quando devo festeggiare. Posso far festa tutti i giorni perché sono innamorata (a proposito, quando è stata l’ultima volta che avete proferito ti amo alla vostra metà eccezion fatta per il giorno in cui vi confessaste il vostro amore? Fate i bravi, mi raccomando) perché sono mamma, perché sono nonna o perché sono donna (in quest’ultimo caso non ho nulla da festeggiare, ho solo da combattere tutti i giorni dell’anno); oppure posso scegliere di non festeggiare.
Posso scegliere di regalare qualcosa a un amico/amica, a un parente, a una maestra, a un conoscente, senza attendere il giorno del suo compleanno se mi sento di farlo e mi fa piacere farlo. A che servono ‘ste feste se non per business? (Se a Natale non ve voijo fa’ i regali perché devo essere costretta a favve i regali, se po’ sape’?)
Una foto, un’immagine, una cartolina, un disegno dice tanto. Reca con sé emozioni, pensieri, usi, giudizi, considerazioni, domande, dubbi, fantasie.
“Ma oggi non è il 14 febbraio!” dice lei. L’esclamazione è un chiaro segno di quanto un certo modo di pensare condizioni i nostri pensieri, il nostro modo di essere e le nostre vite. Lui le ha portato dei fiori e, porgendole il mazzo, le risponde “non era il 14 febbraio neanche quando io mi sono innamorato di te”, osservazione che denota quanto il nostro cervello si sia assuefatto a certe ricorrenze e a certe abitudini perché così ci sono state inculcate (e che riassume quanto abbiamo detto sinora).
Anche quell’io, ponendolo come fosse un accento sulla frase – quando io mi sono innamorato di te che è diverso da quando mi sono innamorato di te – rimarca una esclusività, un anticonformismo, una alternativaallo status quo da cui è diventato sempre più difficile affrancarsi.
¹ Si consiglia il testo di Marco Pacori, I segreti del linguaggio del corpo Sperling&Kupfer Editore 2019 – collana Pickwick
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Si stava meglio quando eravamo tutti spermatozoi.
(Charlie)
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Si tu vales bene est, ego valeo.
La musica non insegna solo ad ascoltare, insegna anche la disciplina e il rispetto delle regole perché dove c’è rispetto c’è armonia. Una norma fondamentale posta alla base di tutte le cose.
Regole e Ordine sono il fondamento di ogni civiltà. Se ognuno comincia a fare di testa sua derogando ad ogni principio morale o giuridico, tutto si complica.
Se sono in fila alla posta, in negozio, dal prestinaio, al prelievo, devo rispettare la fila. Se entro in farmacia e noto che il pavimento è bagnato, evito di camminarci sopra per non far sprecare altri minuti di tempo all’inserviente che ha passato lo straccio per farmi trovare tutto pulito. Se cammino per strada e mi servo dei fazzoletti di carta per soffiarmi il naso, mi disfo del fazzoletto buttandolo nell’apposito cestino dei rifiuti. Se devo sbarazzarmi di un elettrodomestico non più funzionante, lo devo portare all’isola ecologica messa a disposizione dal comune per la gestione dei rifiuti ingombranti. Se commetto un reato devo essere punito. Se offendo, se sono stato sgarbato con una persona o gli ho arrecato un torto o un dolore, devo chiedere scusa. Se devo parcheggiare, arresto la macchina negli stalli di sosta blu, bianchi o gialli a seconda del posto riservato all’autoveicolo. Se ho bisogno del bagnoschiuma, devo acquistarlo, non devo rubarlo. Se per mangiare ho bisogno di guadagnare, devo lavorare.
Se, se, se.
Ad ogni necessità corrisponde un’azione e l’azione, per semplice che sia come l’acquisto di un pacco di caramelle, ha delle regole. Se mi approprio di una cosa senza versare il corrispettivo in denaro, commetto un furto. Se alzo la voce per impormi sull’altro e insultarlo, dall’altra parte avrò la stessa reazione. Se sporco l’ambiente in cui vivo, presto o tardi mi ammalerò di conseguenza. Se vedo gente coinvolta in una rissa, che sputa in strada, che passeggia svestita, che si comporta come se tutto gli è dovuto, che stupra e che uccide significa che l’Ordine è saltato, che l’anarchia (termine greco che vuol dire “senza governo”) fa da padrona.
Siamo abituati a considerare la regola come una limitazione, un fermo alla nostra libertà di espressione, di manifestazione e di agire, ma se non accettiamo e sottostiamo alla regola vuol dire che non ci piace l’armonia, che ce ne freghiamo della bellezza e del corso naturale e ontologico delle cose. Anche i fiori, gli alberi, i frutti della terra, prima di fiorire e maturare seguono un percorso logico e ordinario che fa parte del ciclo della natura. Non osano ribellarsi ad esso.
Un feto, per formarsi del tutto, impiega nove mesi (all’incirca 38 settimane). Non può derogare a questa regola, e ove ciò avviene è soggetto a complicazioni e in taluni casi anche alla morte.
Se metto a cucinare una pietanza e non le lascio il tempo che le occorre per insaporirsi, servirò a tavola una vera porcheria di mappazzone (e lo stomaco non ringrazierà di certo con relativo “vaffa” dai gemelli reni e dall’intestino).
Se eseguo una coreografia disarticolata, senza seguire il tempo, il ritmo, le battute della musica – tanto più se è studiata per coordinarsi con il corpo di ballo – quel che ne viene fuori sarà uno spettacolo non spettacolo (con annessa fuga del pubblico dalla sala).
Perché? Perché non c’è Ordine, non c’è Armonia, non è bello a vedersi (come dice Ale Maestra quando ci guarda eseguire la lezione del giorno e ciascuna di noi esegue una propria coreografia e non quella assegnata: «Ma k stat facenn?»¹).
Se invece di ribellarci alle regole ci fermassimo a pensare (per tornare ai famosi «se» dell’intro di questo articolo) che esse sono indispensabili per l’equilibrio di tutti (e quindi per il benessere della società che, per stare bene e funzionare in armonia, ha bisogno della sua “base ritmica”, del suo ordine; così come lo sport è strutturato su regole precise) allora forse la smetteremmo di fare quel che ci passa per la testa eludendo ognuno il proprio compito, che prima di parlare o di compiere un’azione o un gesto dobbiamo usare il cervello, che se ci siamo dati degli imperativi non è per scommettere su chi è più furbo, più veloce o simpatico a infrangere le norme, dandosi arie da grande artista o da gran seduttore², ma per imparare a convivere. Se a farlo e a comprenderlo è ogni specie animale, perché tu – uomo e animale – non sai farlo? Che razza di bestia sei?
Non ci lamentiamo (e soprattutto non polemizziamo) se poi le cose non vanno bene, non ci scandalizziamo se a scuola sono i genitori a rimproverare i maestri – e a far causa ai TAR³ - perché non hanno dato ragione ai loro figli, perché accadono incidenti per la strada o abusivismi nei territori e nelle case, se vengono esaltati come eroi e miti soggetti appartenenti a cosche mafiose, se vengono usurpati i parcheggi per i disabili, se le stazioni non sono più luoghi per viaggiare ma centri di bivacco o spaccio, se chi uccide, stupra, ruba, usa minacce o violenza lo fa perché avrà i suoi quindici minuti di successo nel mondo e si compiacerà per aver avuto la sua fama₄, se le persone (società) hanno smesso di seguire le regole, e quindi hanno rotto il meccanismo che consente di produrre e preservare l’Ordine e la Bellezza.
Reo del Caos è una mente non elastica, che non si conforma alle leggi della natura e che cerca in tutti i modi di cambiarle per scopi narcisisti convinto che a uscirne danneggiato sia l’altro e non lui, che è il vincitore.
Sforziamoci di vedere le cose da un punto di vista collettivo e non individuale contribuendo ciascuno nel suo, naturalmente, senza sopraffazioni.
Prendiamo esempio dalla musica, modello d’eccellenza dell’Armonia.
¹«Ma che state facendo?»
² In questo caso il termine vuol significare colui che trascina la folla ad emularlo e a fare altrettanto contravvenendo, anche inconsapevolmente, alle leggi etiche, religiose, sociali e naturali.
³ Acronimo di Tribunale Amministrativo Regionale
4 “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”, massima di Andy Warhol pittore statunitense
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