Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
Marzo 1885. Ospedale di Salpêtrière a Parigi. Un manicomio femminile dove vengono relegate donne ritenute scomode più che pazze: prostitute, mogli, compagne che hanno ucciso i propri mariti o amanti, sovversive, anticonformiste; insomma donne ribelli e pericolose impossibili da gestire, rifiutate e dimenticate dalle famiglie, date alle “cure” dei medici e degli infermieri del dottor Charcot che presiede il nosocomio.
Dal Salpêtrière si entra e non si esce, tranne in rarissimi casi.
Tra le internate ci sono Thérèse, la decana delle alienate, un donnone ed ex prostituta che se ne sta tutto il giorno a lavorare a maglia coi ferri e a dispensare consigli alle altre degenti. Più saggia che pazza, Thérèse viene vista come una mamma – rinchiusa in manicomio per aver gettato il suo amante nella Senna –, tutto quello che avviene nell’istituto non sfugge al suo occhio vigile, ha sempre una buona parola per tutte ed ha un buon rapporto con le infermiere e gli infermieri.
Soggette a crisi isteriche, il più delle volte indotte durante le ore di lezione dall’équipe dei medici per i loro esperimenti e gli studi sulle poverette, sono tutte le altre internate. Tra queste c’è Louise, un’adolescente bandita dalla sua famiglia per tristi e sfortunate vicissitudini che continuano a perseguitarla anche all’interno dell’ospedale, dove è oggetto di attenzioni di Jules uno degli infermieri.
A capo del reparto c’è l’Anziana, ovvero Geneviève, un’infermiera che ha immolato la propria vita alla carriera di medico e con un lutto alle spalle che non è riuscita del tutto ad elaborare. Sua sorella Blandine è morta quando era ancora troppo giovane, dopo il trauma non più scomparso si è imposta di vivere con un certo rigore, atteggiamento che ha deciso di adottare anche col suo lavoro e col suo rapporto con le internate, perennemente sotto la sua osservazione.
Le giornate trascorrono tutte uguali tra passeggiate nel parco, pulizie dei luoghi comuni, rifacimento dei letti, esperimenti, veglie, dormite, pasti; l’unica iniziativa che concede alle donne un po’ di svago e serenità è il ballo di mezza quaresima che si svolge ogni anno al nosocomio, una vera e propria festa in maschera dove viene invitata tutta la Parigi bene, ossia un’occasione che consente di mischiare la borghesia con le alienate e di poter assistere anche agli esperimenti che vengono praticati nell’istituto. L’eccitazione per il ballo riempie le stanze e i corridoi le settimane prossime alla festa, alle internate viene data la possibilità di scelta dei costumi e di apportarvi anche modifiche con il ricamo e il cucito.
L’arrivo non previsto tra le alienate è quello di Eugénie Cléry, una ragazza di buona famiglia internata dal padre dopo che è stato messo al corrente che la stessa vede e parla con i defunti. L’Anziana delle infermiere, così come Thérèse, si accorge subito che Eugénie non è come le altre, la ragazza ne dà prova anche durante una lezione dimostrando di saper fronteggiare il gruppo dei luminari confutando le loro teorie. Sarà la stessa Eugénie ad aprire gli occhi all’Anziana, adusa ad assecondare le regole mediche ed “etiche” dell’ospedale – una linea di condotta e di pensiero che si allinea con quella del padre, medico neurologo ormai in pensione – a sconvolgerne le sorti e a costringerla a rivedere le sue convinzioni modellate su falsi giudizi atte a concepire la società come una realtà guidata e creata da soli uomini, che ne determinano le leggi e il destino.
Collera. Una rabbia intensa. È questo il sentimento che ha mi ha predominata durante la lettura di questo libro. Sentirmi addosso pesanti catene che lottavano per cambiare e modificare la mia natura perché mi impedivano di fare e dire quel che l’animo mi dettava di fare. Una sensazione orribile, che è poi la sensazione che accompagna ciascuno di noi, sempre: parlare o agire in un determinato modo e non venire compresi, solo perché io non vedo le cose come le vedi tu. Allora sei strana o strano. Peggio: sei pazzo o pazza. Perché non fai le cose come tutti gli altri. Perché non ti adegui, perché è così che stanno le cose e tu, che sei diverso o diversa, sei fuori dal mondo (visto? Non occorre essere uomo o donna per vivere le stesse situazioni o gli stessi stati d’animo).
Del ballo del titolo in copertina v’è spiraglio solo nell’ultimo capitolo del libro, le pagine che lo precedono sono il pretesto per poter raccontare la condizione femminile dell’Ottocento (non molto dissimile dai giorni nostri con qualche passo più avanti). Le donne erano meno di niente, un oggetto, un ornamento, una dote. Si doveva stare al proprio posto, non farsi venire idee strane, non esprimere opinioni, non andare contro la propria famiglia. Anche se erano le convinzioni di quest’ultima ad essere completamente sbagliate. Chi rovesciava l’ordine delle cose era ritenuta pazza.
Quest’uso retrogrado del pensiero lo ritroviamo, seppur in maniera sottile, in ogni aspetto del quotidiano. Non ce ne accorgiamo perché siamo molto bravi a mascherarlo (ps: il termine non è puramente casuale come ogni cosa che scrivo o parola che adopero).
Facciamo finta di essere interessati all’argomento “condizione femminile”, “parità dei sessi”, “no violenza sulle donne”, ma ne siamo spaventati. Anche quegli uomini che si schierano contro il pensiero conservatore fanno fatica ad accettare che non esiste una diversità tra donna e maschio. Ne sono consapevoli (e questo è già tanto), lavorano sul proprio Io interiore per cambiare lo stato delle cose (e li ringraziamo), ma nella rete dei loro discorsi, vuoi o non vuoi (fateci caso), resta sempre aggrappato un residuo di tutte quelle convenzioni che si sono cristallizzate nei secoli (sono secoli, purtroppo! È questo gioca molto, molto a sfavore).
Non voglio soffermarmi sempre sullo stesso argomento, penso che sia giusto parlarne ma penso sia anche giusto non eccedere o farlo senza esasperare troppo gli animi, col rischio di sortire effetti avversi e indesiderati. La questione che mi preme far capire è che qui non si tratta di essere superiori o inferiori a qualcuno, ma che siamo tutti uguali. E non è un discorso da intellettuali, non ha nulla a che vedere con schieramenti politici di destra o sinistra, o un conformarsi all’opinione comune (pure perché se c’è qualcosa a cui conformarsi la sottoscritta non si conforma a nessuno, è abituata a pensare di testa sua senza farsi condizionare dal primo o dalla prima che passa).
È ragionare usando la logica. Sono un essere umano anch’io, con desideri, passioni, rancori, dolori, stizze, bisogni. Voglio essere vista e riconosciuta per quello che sono (per chi sono, non per cosa sono). Non sono un nemico. Se mi vedi come nemico è perché sei abituato a concepirmi e a vedermi come nemico. È un tuo pre-giudizio. Sei tu il tuo nemico, il rivale di te stesso (nell’istante in cui fai germogliare questo tuo pensiero stai creando anche il tuo avversario che ti impedisce di mettere a fuoco quello che hai davanti agli occhi).
Rifletti prima di agire o di parlare. Guarda. Osserva.
È solo usando correttamente la testa che mostrerai la tua superiorità.
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"Only the one that hurts you
can make you feel better –
Only the one that inflicts the pain
can take it away" ¹
(Madonna, Erotica - Album: Erotica, MavericK Records e Warner Bros Records 1992)
¹ Trad.: “ Solo chi ti ferisce/può farti stare meglio/Solo chi ti infligge la pena/può togliertela”
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Certe persone sono come le monete, vanno rivalutate.
(Charlie)
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La copertina dell'albo Una su dieci a cura di Sergio e Paolo Zaniboni
Le sfide sono il pane quotidiano di Diabolik. Più il suo genio viene messo a dura prova, più lui si impegna a trarre il massimo dalle sue capacità intellettive per mettere a segno i suoi colpi.
L’episodio Una su dieci dell’ottobre del 2010 è uno dei tanti che vede il Re del Terrore alle prese con un bel rompicapo.
Il bottino di cui vuole impossessarsi è composto da cinque perle dal valore incalcolabile di proprietà dell’ingegnere Giacomo Radner. Il piano prevede che Eva si sostituisca a Emilia, figlia di quest’ultimo, per scoprire in quale delle dieci casseforti distribuite all’interno della villa è custodito il favoloso tesoro. Come spesso accade però l’imprevisto è dietro l’angolo, ed Eva e Diabolik sono costretti a cambiare i loro programmi. L’imprevisto è più di uno.
Il primo è dato dalla decisione dei fratelli di Emilia di giungere alla villa due giorni prima del loro arrivo; la riunione di famiglia sarà anche l’occasione per spartire la grossa eredità tra i figli di Giacomo e per donare una perla a ciascuno di loro. Scopo di Diabolik ed Eva è di evitare che le perle vengano divise prima che possano rubarle, se ciò dovesse succedere per la coppia diventerebbe complicato poterle recuperare tutte assieme. Il tempo per scoprire in quale delle dieci casseforti sono conservate è troppo poco, così Diabolik decide di accelerare i tempi penetrando nella villa e far parlare Giacomo col pentothal, ma il magnate viene colpito da un attacco cardiaco (secondo imprevisto). A questo punto al criminale non resta che una sola cosa da fare: prendere il posto dell’ingegnere e provare a capire, per il tempo che gli resta, qual è la cassaforte giusta da aprire.
Comincia da quella stessa notte in cui ha modo di accorgersi che, all’apertura del forziere, Giacomo aveva pensato di installare una trappola mortale per impedire al ladro di portargli via i preziosi (terzo imprevisto). Diabolik riesce a scamparla per un pelo, l’astuzia progettata dall’ingegnere tuttavia gli accende un’intuizione: ogni cassaforte dispone di un marchingegno che bisogna disinnescare prima di aprirla, altrimenti si incorre in morte certa.
Messa al corrente Eva della morte di Radner, le intima di raggiungerlo alla villa per portar via il suo cadavere e per consegnargli la maschera con le sue fattezze che aveva preparato qualche giorno prima in caso di evenienza. Eva non vuole lasciarlo solo, in due è più facile e più veloce capire qual è la cassaforte da forzare ma Diabolik è irremovibile, e con una scusa la convince che per lui sarà più facile muoversi da solo in casa Radner, limitando i contatti con Emilia per non destarle sospetti sulla sua vera identità. In realtà la sua decisione è dettata dalla paura che Eva possa cadere vittima degli infernali tranelli dell’ingegnere, tenerla lontana da quei congegni, e rischiando lui solo, lo farà stare più sereno.
Nei giorni seguenti comincia la caccia alla cassaforte che contiene le cinque perle, con relativa sfida di eludere le trappole ad esse connesse, e avviene anche un “colpo di fortuna”: i fratelli di Emilia rimandano il loro arrivo a causa di un problema di salute di uno dei nipoti. Diabolik non poteva sperare di meglio; ora ha più tempo per studiare con calma le casseforti e, se è fortunato, ha buone probabilità che riesca a trovare quella che gli serve prima che i fratelli Radner giungano alla villa e rubare le perle.
Come è stato preannunciato all’inizio, gli imprevisti si sussegueranno in un crescendo di ritmo, adrenalina, colpi di scena, e se gli autori dapprincipio avevano dato da intendere che Eva giocasse un ruolo marginale in questa storia, alla fine i lettori scopriranno che non è come ci si aspettava ma che, anzi, il suo intervento ancora una volta sarà decisivo per le sorti del Re del Terrore.
Non ho intenzione di svelare il finale – l’unica cosa che mi sento di dirvi è che l’episodio si chiude con il noto bacio tra Diabolik ed Eva, e mai scena e scelta di chiusura è stata più azzeccata come questa volta – né i nodi che costituiscono il tessuto narrativo della storia (sono tanti, minuziosi e ingegnosi, come sempre sono caratterizzate le vicende diaboliche), quello che mi ha colpito di questo episodio è l’analisi lucida che fa Diabolik sulla mente geniale, tanto quanto la sua, di Giacomo Radner (forse perché è un ingegnere e il cervello è allenato a pensare in maniera innovativa, creativa e abile come quella del criminale?). L’impressione che ho avuto è quella di un Diabolik che stesse studiando se stesso allo specchio, come se avanti a sé avesse il suo doppio: quindi la sfida che ne vien fuori è una sfida nella sfida. In altri termini, più che una messa alla prova delle sue capacità – a cui gli autori e gli sceneggiatori ci hanno abituato negli anni e che ci hanno permesso di conoscere chi è Diabolik – Una su dieci è l’albo che mostra l’estensione delle sue capacità, che ci dimostra fin dove può spingersi, e quali sono i limiti (ammesso che li abbia) della sua mente geniale e diabolica.
Una scena emblematica da una tavola di Una su dieci (disegni di Angelo Maria Ricci)
È molto raro che Diabolik si arrenda. L’interesse rivolto ai tesori e ai bottini non è solo un mero interesse estetico o di arricchimento, è anche – e soprattutto – un gusto di testare le sue abilità e capacità. Una volta in un’intervista il direttore della Astorina, Mario Gomboli, riferì che ciò che spinge Diabolik a rubare non è tanto il piacere di rubare, ma è il piacere della sfida; per rendere meglio il concetto buttò lì un’affermazione dicendo “se lasci una collana o un qualsiasi altro monile fuori alla finestra Diabolik non lo ruba, per lui sarebbe troppo facile. A lui interessa la sfida” .
In Una su dieci ha, appunto, solo una possibilità su dieci di fare centro.
L’altro avversario è il fattore tempo. Il piano che aveva pensato con Eva è andato in fumo, è costretto a cambiarlo e a modificarlo ogni minuto che passa adattandosi agli imprevisti e improvvisando. È un Diabolik che non smette di studiare la sua vittima anche da morto attraverso i suoi scritti e i suoi appunti, che invece di studiare ed esaminare ogni dettaglio preliminarmente in previsione del piano e delle fughe da attuare, in questo caso si trova a pianificarlo in itinere. La chiave di volta è davanti ai suoi occhi, davanti a quello specchio, davanti ai promemoria dell’ingegnere Radner.
La soluzione che lo porterà alla fine ad impadronirsi delle perle è nascosta, come sempre, in un dettaglio.
¹ L’albo, in versione ristampa R, uscito il 10 febbraio è ancora reperibile nelle edicole di tutta Italia
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Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
(Antonia Pozzi)
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Ti ho trovato nell'onda che baciava le rocce,
nella carezza salata del vento
che sospira nomi dimenticati.
Eri il respiro dell'oceano,
il suono sommerso delle conchiglie,
la voce del tempo che si sfalda
nel battito eterno delle maree.
Ti ho atteso tra le dune di un deserto senza fine,
e sei tornato come la pioggia a sciogliere la mia sete d'amore.
Ora mi perdo nei tuoi occhi d'acqua,
nelle profondità silenziose
dove il cuore si fa onda
e danza senza mai fermarsi.
(Pablo Neruda)