Charlie Brown

"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)


Ordine e Disordine, più comunemente noti come accordi e disaccordi (musicali)


Si tu vales bene est, ego valeo.

La musica non insegna solo ad ascoltare, insegna anche la disciplina e il rispetto delle regole perché dove c’è rispetto c’è armonia. Una norma fondamentale posta alla base di tutte le cose.

Regole e Ordine sono il fondamento di ogni civiltà. Se ognuno comincia a fare di testa sua derogando ad ogni principio morale o giuridico, tutto si complica.

Se sono in fila alla posta, in negozio, dal prestinaio, al prelievo, devo rispettare la fila. Se entro in farmacia e noto che il pavimento è bagnato, evito di camminarci sopra per non far sprecare altri minuti di tempo all’inserviente che ha passato lo straccio per farmi trovare tutto pulito. Se cammino per strada e mi servo dei fazzoletti di carta per soffiarmi il naso, mi disfo del fazzoletto buttandolo nell’apposito cestino dei rifiuti. Se devo sbarazzarmi di un elettrodomestico non più funzionante, lo devo portare all’isola ecologica messa a disposizione dal comune per la gestione dei rifiuti ingombranti. Se commetto un reato devo essere punito. Se offendo, se sono stato sgarbato con una persona o gli ho arrecato un torto o un dolore, devo chiedere scusa. Se devo parcheggiare, arresto la macchina negli stalli di sosta blu, bianchi o gialli a seconda del posto riservato all’autoveicolo. Se ho bisogno del bagnoschiuma, devo acquistarlo, non devo rubarlo. Se per mangiare ho bisogno di guadagnare, devo lavorare.

Se, se, se.

Ad ogni necessità corrisponde un’azione e l’azione, per semplice che sia come l’acquisto di un pacco di caramelle, ha delle regole. Se mi approprio di una cosa senza versare il corrispettivo in denaro, commetto un furto. Se alzo la voce per impormi sull’altro e insultarlo, dall’altra parte avrò la stessa reazione. Se sporco l’ambiente in cui vivo, presto o tardi mi ammalerò di conseguenza. Se vedo gente coinvolta in una rissa, che sputa in strada, che passeggia svestita, che si comporta come se tutto gli è dovuto, che stupra e che uccide significa che l’Ordine è saltato, che l’anarchia (termine greco che vuol dire “senza governo”) fa da padrona.

Siamo abituati a considerare la regola come una limitazione, un fermo alla nostra libertà di espressione, di manifestazione e di agire, ma se non accettiamo e sottostiamo alla regola vuol dire che non ci piace l’armonia, che ce ne freghiamo della bellezza e del corso naturale e ontologico delle cose. Anche i fiori, gli alberi, i frutti della terra, prima di fiorire e maturare seguono un percorso logico e ordinario che fa parte del ciclo della natura. Non osano ribellarsi ad esso.

Un feto, per formarsi del tutto, impiega nove mesi (all’incirca 38 settimane). Non può derogare a questa regola, e ove ciò avviene è soggetto a complicazioni e in taluni casi anche alla morte.

Se metto a cucinare una pietanza e non le lascio il tempo che le occorre per insaporirsi, servirò a tavola una vera porcheria di mappazzone (e lo stomaco non ringrazierà di certo con relativo “vaffa” dai gemelli reni e dall’intestino).

Se eseguo una coreografia disarticolata, senza seguire il tempo, il ritmo, le battute della musica – tanto più se è studiata per coordinarsi con il corpo di ballo – quel che ne viene fuori sarà uno spettacolo non spettacolo (con annessa fuga del pubblico dalla sala).

Perché? Perché non c’è Ordine, non c’è Armonia, non è bello a vedersi (come dice Ale Maestra quando ci guarda eseguire la lezione del giorno e ciascuna di noi esegue una propria coreografia e non quella assegnata: «Ma k stat facenn?»¹).

Se invece di ribellarci alle regole ci fermassimo a pensare (per tornare ai famosi «se» dell’intro di questo articolo) che esse sono indispensabili per l’equilibrio di tutti (e quindi per il benessere della società che, per stare bene e funzionare in armonia, ha bisogno della sua “base ritmica”, del suo ordine; così come lo sport è strutturato su regole precise) allora forse la smetteremmo di fare quel che ci passa per la testa eludendo ognuno il proprio compito, che prima di parlare o di compiere un’azione o un gesto dobbiamo usare il cervello, che se ci siamo dati degli imperativi non è per scommettere su chi è più furbo, più veloce o simpatico a infrangere le norme, dandosi arie da grande artista o da gran seduttore², ma per imparare a convivere. Se a farlo e a comprenderlo è ogni specie animale, perché tu – uomo e animale – non sai farlo? Che razza di bestia sei?

Non ci lamentiamo (e soprattutto non polemizziamo) se poi le cose non vanno bene, non ci scandalizziamo se a scuola sono i genitori a rimproverare i maestri – e a far causa ai TAR³ - perché non hanno dato ragione ai loro figli, perché accadono incidenti per la strada o abusivismi nei territori e nelle case, se vengono esaltati come eroi e miti soggetti appartenenti a cosche mafiose, se vengono usurpati i parcheggi per i disabili, se le stazioni non sono più luoghi per viaggiare ma centri di bivacco o spaccio, se chi uccide, stupra, ruba, usa minacce o violenza lo fa perché avrà i suoi quindici minuti di successo nel mondo e si compiacerà per aver avuto la sua fama, se le persone (società) hanno smesso di seguire le regole, e quindi hanno rotto il meccanismo che consente di produrre e preservare l’Ordine e la Bellezza.

Reo del Caos è una mente non elastica, che non si conforma alle leggi della natura e che cerca in tutti i modi di cambiarle per scopi narcisisti convinto che a uscirne danneggiato sia l’altro e non lui, che è il vincitore.

Sforziamoci di vedere le cose da un punto di vista collettivo e non individuale contribuendo ciascuno nel suo, naturalmente, senza sopraffazioni.

Prendiamo esempio dalla musica, modello d’eccellenza dell’Armonia.





¹«Ma che state facendo?»

² In questo caso il termine vuol significare colui che trascina la folla ad emularlo e a fare altrettanto contravvenendo, anche inconsapevolmente, alle leggi etiche, religiose, sociali e naturali.

³ Acronimo di Tribunale Amministrativo Regionale

4 “Nel futuro ognuno sarà famoso al mondo per quindici minuti”, massima di Andy Warhol pittore statunitense

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Riflessioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 12/02/25

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I pantaloni


Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Pensieri | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 12/02/25

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Buona e cattiva notizia


Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Strisce | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 12/02/25

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Il gran giorno


Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Strisce | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 12/02/25

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Blue Valentine (quinta parte)




Gli uffici della Dragone SpA erano immensi e composti da diversi piani comprensivi di scale e ascensori. Al piano terra vi erano le cabine di controllo, le portinerie, gli sportelli adibiti alle informazioni. Sopra vi erano gli uffici dei soci, la sala riunioni per il CDA, quella del Presidente, del vice presidente, dell’amministratore delegato e l’ufficio legale. Al primo piano c’era il bar e all’ultimo piano il terrazzo con vista sulla città. L’intero edificio era a vetri e ad ogni piano, all’interno, era consentito affacciarsi al piano terra.
Era mezzogiorno quando Diego ebbe concluso la riunione con gli americani. Se ne stava affacciato alla ringhiera del primo piano ad osservare dabbasso la gente che entrava nell’edificio quando la vide fare il suo ingresso.
Indossava un tailler bordeaux, giacca e gonna, i capelli sciolti e ricci le ricadevano sulle spalle. Quasi come se avesse sentito i suoi occhi puntati su di lei a sua volta alzò il capo per riabbassarlo subito.
Prima che scomparisse Diego scese le scale andandole incontro con le mani nelle tasche dei calzoni.
« Complimenti Dottoressa Villani. Vorrei congratularmi con lei per il tempismo dimostrato quest’oggi »
« Non so a cosa ti riferisci » lei rispose mentre era intenta a parlare con gli addetti ai controlli.
« Sai benissimo a cosa mi riferisco. Se non era per me l’affare con gli americani sarebbe saltato »
« Sei tu il Presidente della società »
« E tu ne sei il vice. Cos’è? Vuoi vendicarti per quello di cui abbiamo discusso due sere fa? »
Lei lo guardò. « Dovresti solo vergognarti »
« Non ho fatto nulla di cui debba vergognarmi, anzi. Ho agito in tempo prima che fosse troppo tardi »
Se ne stava andando quando Silvia gli disse: « Voi uomini siete tutti uguali. Pensi di poter risolvere la faccenda con un semplice “Non sono pronto per un simile passo”? »
Lui continuò a camminare senza voltarsi uscendo dalla porta accanto a quella di ingresso e scendendo le scale.
« Diego! »




Era ormai un mese che si frequentavano. Quando poteva Diego andava ad assistere al suo spettacolo e a trascorrere il resto della serata con lei. Dopo il rapporto una o due volte era capitato che la sentisse piangere dandogli le spalle. Diego non le chiese mai nulla né lei accennò a qualcosa. Succedeva che parlassero, anche a lungo prima di passare ai fatti, e alla fine prima di salutarsi. Anna gli aveva concesso di fare con lei e di lei tutto ciò che volesse. Il più delle volte la ricopriva di premure, altre volte si lasciava andare a giochi più audaci. Lei lo lasciava fare tanto da insinuargli la convinzione che quelle piccole perversioni piacessero soprattutto a lei.
« Mi piace scopare con te » gli confessò una notte in albergo dopo l’amplesso mentre gli accarezzava i capelli umidi tenendolo stretto tra le braccia. Era la prima volta che lo portava in un ambiente di lusso trasgredendo le regole del Blue Valentine.

Aveva organizzato tutto lei. Gli aveva dato appuntamento all’hotel Luxor e aveva fatto mettere tutto sul suo conto. Lui era rimasto sorpreso ma anche molto divertito e alla fine le aveva chiesto perché.
« Perché un uomo come te è abituato a questo ambiente e non allo squallore del Blue Valentine » gli aveva risposto. Diego aveva contro ribattuto che non gli importava dove trascorresse la notte ma che la trascorresse con lei.
« La tua fidanzata è molto fortunata ad avere un uomo come te. Sei una persona buona, onesta, dolce. Sei un bravo massaggiatore e… un gran scopatore! »
Diego rise insieme a lei. Durante i loro incontri era successo che le avesse massaggiato i muscoli del collo e della schiena a causa di un torcicollo e dolori che Anna avvertiva di tanto in tanto. Dopo si era sentita subito meglio.
« Non sempre si presta a fare certi giochetti » le confidò mentre si toglieva di dosso a lei, allungando un braccio sul comodino per prendere sigarette e accendino.
« Tu glielo hai mai chiesto? »
« Con la propria donna certe cose non si possono fare » disse sputando fuori il fumo e guardandola distesa, nuda sul letto mentre giocava con una ciocca di capelli.
« È per questo motivo che sei venuto al Blue Valentine? »
« Quella sera pioveva. Mi sono trovato a passare di lì col mio autista e sono entrato per curiosità »
« E sei rimasto soddisfatto a quanto pare…» gli insinuò un piede tra le cosce.
Diego lasciò la sigaretta consumarsi nel posacenere e le fu di nuovo sopra.
Avvicinò le labbra a quelle di lei.
Anna volse il viso da un’altra parte.
Diego ci riprovò e si ritrovò con le labbra di lei sul collo che presero a morderlo e a leccarlo.




La settimana seguente fu una di quelle ricche di impegni per Diego. Aveva il CDA, un appuntamento con l’amministratore delegato di una grossa società, una serie di contratti da stipulare e una conferenza a Zurigo. In più doveva fare i conti con i biglietti di auguri che ogni giorno Jill gli faceva trovare sulla sua scrivania e le innumerevoli telefonate del fioraio e di quelli del catering. Il tutto tra controlli dei titoli di borsa, colloqui con Giorgio e clienti che provenivano da gran parte dell’Italia, dell’Europa e da altri continenti.
« Jill, mi scusi la Dottoressa Villani è nel suo ufficio? Allora guardi le chieda cortesemente di passare dal mio prima che vada via »
« Che vuoi fare? Guarda che dobbiamo prima discutere del piano di ammortamento »
« Dopo Giorgio, dopo » gli disse Diego con le maniche della camicia arrotolate e la sigaretta in mano che spense nel posacenere. Giorgio si alzò dalla sedia portandosi appresso i fascicoli.
« Mi fai chiamare tu? »
« Sì »
In quel frangente Giorgio aprì la porta per uscire e Silvia entrò.
« Jill mi ha detto che mi cercavi »
« Sì. Ti vuoi sedere? »
« Vieni al dunque »
« Ti avevo chiesto di occuparti tu di ogni disdetta e non lo hai fatto. Oggi ho ricevuto anche una telefonata dal prete sul cellulare »
« Io… non ne ho avuto il coraggio, ecco »
« Silvia che cosa significa? Mi sembrava di esser stato chiaro con te »
« Sei tu quello che ha deciso di mandare tutto a monte. Io non ce la faccio Diego, non puoi chiedermi una cosa del genere perché io non ci credo che tu lo voglia veramente. Perché non ne parliamo? »
« Ne abbiamo già parlato »
« Beh allora scordatelo. Io mi rifiuto di farlo. Mi vergogno solo a pensarlo se dovessi divulgare la notizia »
« Presto tutti lo sapranno. In azienda lo sanno già. Vogliamo continuare questa farsa in eterno? »
« Perdonami, ho un mal di testa atroce. Ti dispiace se ne riparliamo in un secondo momento? »





La stanza era pervasa dall’oscurità. L’unica luce che proveniva dall’esterno era offerta dalle luci della città nella notte e dalla luna che splendeva pallida in un cielo senza stelle. I balconi erano stati lasciati aperti e una soffice brezza faceva muovere le tende bianche e sottili portando un po’ d’aria fresca nelle stanze.
La camera d’albergo era grande abbastanza da poter accogliere una famiglia. I vestiti erano abbandonati sul pavimento del salone. La giacca e il reggiseno in pizzo buttati sulle poltrone.
Anna dormiva nel grande letto matrimoniale.
La schiena nuda e liscia era scoperta, i capelli neri erano sparsi a ventaglio sul cuscino, una mano era sotto il guanciale e l’altra accanto al viso.
Diego la osservò a lungo prima di infilarsi i pantaloni e la camicia per andare fuori al balcone a fumare.
Si diresse in salone dove prese una sigaretta e l’accendino sul tavolo dove aveva poggiato il pacchetto e il cellulare. Tenne la sigaretta tra le labbra senza accenderla mentre controllava se fossero arrivate delle chiamate o dei messaggi. La accese dirigendosi al balcone scostando le tende e stando attento a non bruciarle. Sedette sulla poltrona di vimini accavallando le gambe e si gustò l’aria della sera. Diede un’occhiata alle altre stanze dell’albergo. Alcune avevano la luce spenta altre le persiane chiuse. Piante di belle di notte erano sparse accanto alla ringhiera in ferro e in marmo al balcone.
Il campanile di una chiesa suonò in lontananza.
Diego s’alzò e poggiò le mani sul marmo per godersi il panorama della città ammantata di tante piccole luci che brillavano come zaffiri. Il vento gli scostò la camicia che aveva lasciato aperta. Sentì la brezza sulla pelle della pancia.
Quando ebbe finito di fumare rientrò facendo attenzione a non svegliare Anna che trovò come l’aveva lasciata.
Sedette all’altro lato del letto per sciogliersi le scarpe e posarle a terra.
La sentì muoversi. Anna allungò il braccio sotto il cuscino e si destò.
« Dov’eri? »
« In balcone a fumare. Ti ho svegliata? »
« Credevo fossi scappato »
« Scappato? Perché? »
« Tutti scappate prima o poi »
Diego accese l’abat jour sul comodino e si voltò a guardarla. Anna, con la schiena in su e con i gomiti sul cuscino, socchiuse gli occhi.
« Non ho voluto svegliarti. Dormivi come una bambina »
« Cos’hai? »
« Che cosa? »
« Hai qualcosa. Sei strano. Non vuoi dirmelo? »
Diego si allungò sul letto con la faccia rivolta verso l’abat jour. Indossava ancora i pantaloni e la camicia. Anna gli carezzò i capelli.
« Domai parto. Starò via per lavoro »
Anna indugiò con le dita tra i capelli di lui.
« Quanto tempo conti di rimanere fuori? »
« Tre giorni al massimo »
« Ti aspetterò ».



Fece ritorno dopo cinque giorni.
Andò al Blue Valentine. Anna lo stava aspettando come gli aveva promesso.
Appena la vide se la strinse al petto riempiendole di baci i capelli, la fronte, il collo, il petto annusando il suo profumo che sapeva di vaniglia.
« Vieni ».
La portò a casa sua e quando Anna vi mise piede rimase colpita dalla grandezza della casa guardandosi attorno.
Diego accese le luci. Il salone aveva la capienza di una palestra. C’erano due grossi divani in pelle nera al centro insieme a due poltrone e a un tavolino. Le vetrate dei balconi occupavano tutta la parete di fronte. Sulla destra e accanto la porta di ingresso vi erano due mobili in nero lucido. Sulla superficie di quello a destra erano poggiate tre fotografie oltre a targhe d’argento. Anna prese una foto. Ritraeva un bambino che suonava il pianoforte.
« Questo sei tu? » gli chiese.
« Sì. Quando ero piccolo mi piaceva suonare »
« E adesso? »
« Ho smesso. Dopo che mi sono laureato e ho cominciato a lavorare non ho avuto più il tempo di suonare »
Anna annuì poggiando la foto dove l’aveva presa. Alle pareti erano appesi quadri di Chagall – Anna riconobbe il Carro Volante – Kandinskij e Picasso.
Diego si avvicinò a lei e prese ad accarezzarla insinuandole una mano nella camicetta.
« No Diego » si divincolò lei « non mi va di farlo qui »
« Perché? » e Anna intuì dal tono con cui lo disse di essersi offeso.
« Perché se entrassi nel tuo letto smetterei di essere una prostituta »
« Ma tu non sei una prostituta. E io non ti ho mai trattata come tale »
« Diego » tese una mano per accarezzargli una guancia dove aveva fatto crescere la barba da pochi giorni « tu meriti molto di più »
Lui le prese la mano e la baciò. « Ma io voglio te »
L’abbracciò.
« Rimani qui stanotte. Con me. Parliamo »

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Storie di libri e di teatro | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 11/02/25

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Due donne in fuga. La commedia che aiuta a fuggire dalle preoccupazioni e dai pensieri ma non dalla vita



Semplice e leggero. È così che può definirsi il testo di Pierre Palmade e Cristophe Duthuron, Due donne in fuga, portato in scena da Marisa Laurito e Fioretta Mari al Teatro Manzoni di Roma. La prima interpreta Margherita, casalinga da trent’anni e la seconda Clorinda detta Clo. Ambedue fuggono da una vita che si sono ritrovate a vivere senza volerlo, e così unica ancora di salvezza resta la fuga.

Margherita fugge da trent’anni di vita in cui è stata moglie e madre, sacrificando tutta se stessa per la famiglia (in realtà, il suo è stato un matrimonio per allontanarsi dalla madre con la quale non ha mai avuto un buon rapporto) mentre Clo fugge dalla casa di riposo dove il figlio e la nuora l’hanno sistemata dopo la morte del marito. Le due donne si incontrano per la prima volta di notte su una strada statale mentre fanno l’autostop. continua a leggere

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Recensioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 11/02/25

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