Charlie Brown

"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)


Graduatorie (neanche tanto graduate)




Ho litigato con l’INPS.

Ebbene sì, pure io litigo. E non solo con l’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale (che poi di sociale non ha proprio niente, l’unica cosa che ci è rimasta è l’asocialità, la maleducazione e la scorrettezza).

Stamattina ho litigato pure con la Municipale. Mi hanno detto che stavo percorrendo in auto la strada in senso opposto (vero) e che dovevo fare il giro. Ho detto loro che avevano ragione, e ad essere in torto ero io (lo faccio solo per percorrere un metro di strada per mettere la macchina in garage, nel verso corretto è difficoltoso perché si dovrebbero compiere molte manovre prima di parcheggiare cercando di evitare muri, marciapiedi e pedoni, non perché mi piace commettere violazioni al CdS). Ergo, non stavo contestando l’infrazione (commessa e riconosciuta dalla medesima senza infingimenti), ma il loro modo di rapportarsi, l’arroganza e la sicumera che si sentivano in diritto di ostentare solo perché investiti della carica di pubblico ufficiale. È uscito un casino che non vi sto manco a racconta’, ma niente botte, spintoni o parolacce (come succede ormai spesso in tutti gli uffici, gli istituti scolastici, negli ospedali e via dicendo). La mia rabbia la sfogo con la macchina (e coi piloni ai bordi della strada).

Scherzi a parte, stamane ho preso davvero coscienza di come possa sentirsi un essere umano quando non viene compreso, e del perché poi discendano certe reazioni (io stavo spiegando il perché della mia infrazione, commessa con coscienza ma senza dolo, e le due vigilesse mi guardavano come si guarda un matto; vabbé che non sto bene, però a ‘sti livelli che manco mi capisci quando parlo… e parlo pure italiano, la tua stessa lingua… è grave. E pensare che la multa la volevo pure paga’).

Pure l’INPS comunque non fa sconti a nessuno. Anzi, li fa. Quando gli gira a genio (ma quando gli gira a genio?).

Ho litigato per una serie di motivi. Voi litigate con le mogli, i mariti, gli amanti (sempre per chi ce l’ha), le sorelle, gli zii, i cugini, gli amici, i cognati, i suoceri (trovatevi un compagno o una compagna che non abbia i genitori così almeno loro non vi scassano le scatole) e io litigo con l’INPS (se ve fa incavola’ pure a voi e non c’avete vojia di farvi il sangue amaro, mannateme le deleghe che ci penso io a litiga’ pure pe’ voi).

Il punto è questo. Dice che io di handicap non ne ho, quindi se casomai mi venisse voglia di fare concorsi, colloqui di lavoro, partecipare a bandi o metteme in fila per qualche lista nun lo posso fa’. Cioè, non è che non lo posso fa’; non lo posso fa’ asserendo che ho problemi e che ho diritto di prelazione per i problemi che dico di avere. Tutto chiaro? (Manco tanto).

Nel corso della mia lunghissima vita (non è vero, ma a me il tempo sembra il doppio di quello che vivo) sono passata per numerosi-osi-osi colloqui di lavoro… dove nun se capiva gniente de quello che te stavano a chiede’.

Prima di tutto non so perché questi (dove per “questi” intendo i “geni” che dovrebbero avere le competenze e la capacità di valutarti) hanno sempre e solo il potere di farti sentire un’inetta prima ancora che tu prenda posto a sedere davanti a loro, seconda cosa quando cominciano con i test valutativi (il più delle volte delle domande, per non dire interrogatori da Santa Inquisizione) parlano in maniera incomprensibile che pare lo facciano apposta per lanciarti messaggi segreti del tipo: “lascia perde, questo non è il lavoro pe’ te”.

Esempio: “Siamo una Company Economy&Lawyer che si occupa di management control, public relations, ci impegniamo costantemente per l’implementazione del marketing e fornire la comunicazione business per tutti i social. È importante avere spiccate doti di problem solving, an important organizational behavior, self-control, respect for each other to improve the community all together in the same way…” (a soreta!), per poi concludere col botto finale: “Quali sono le sue skills?”

Ma non ti puoi esprimere in italiano corretto e chiedermi semplicemente che competenze hai piuttosto che pronunciare skills? La prima volta che me lo hanno chiesto stavo per domanda’: che cosa???? Avevo una faccia del tipo: “e mo’ che vo’ questa?”


Esempio di faccia appena descritta


A saperlo je facevo io una domanda. “Ho i traumi. Fanno punteggio i traumi nel curriculum?”.

No, perché se fanno punteggio io mi colloco nei primi posti in graduatoria. Se poi c’avessi pure l’invalidità (in)civile ai sensi dell’articolo 20 della Legge 102 del 2009 e bla bla bla sarei a cavallo!

L’INPS però dice che sto apposto… come lo ha dedotto non saprei… c’ho tante di quelle patologie mentali che basta guardamme in faccia per dire che non sto bene (forse la visita se la devono fa loro, non io). Ho la demenza senile, soffro di allucinazioni, ho crisi isteriche, so’ pazza, deviata, ninfomane, ho disturbi nell’apprendimento, so’ bulimica, la glicemia nel sangue che sta a ballà er jive… Mo’ m’è venuta pure la prosopagnosia… (o vedi che vor di’ a frequenta’ certe persone per tanto tempo? Però… c’è un però: è l’unico caso in cui mi sento di dire di essere veramente FIERA di aver frequentato quella persona lì e di essermi presa anche la sua malattia. È un grande, grandissimo motivo di ORGOGLIO per me).

Insomma le malattie ce le ho tutte (e questi dicono che non ho niente), tranne la ludopatia (occore esse ludopatici per fatica’?).

E meno male che si chiama Istituto di Previdenza Sociale! Dovresti prevede’ che c’ho diversi disagi che cominciano a farsi sempre più consistenti. Po’ dice perché stiamo messi come stiamo messi… se la Previdenza l’Ente Previdenziale non la prevede, altro che Previdenza… ci vuole la Divina Provvidenza! (ma che ca*** sto a di’? Boh!).

Eh, ma io c’ho l’asso nella manica, ‘na cosa che funziona contro tutti i malefici e le iatture… c’ho a mamma io! Basta che glielo dico: “Ma’, quelli dell’INPS nun me vojiono da’ la pensione di invalidità”, vedi come córe davanti allo sportello a fa' casino. Già me la immagino con il suo giubbottino e coi capelli belli freschi appena usciti dal parrucchiere: “E s’n’tit: dat subbt i sol’ta a figghj’ma, ca quedda la uagliola n’av b’sogn. N sta bbon”.¹

Se ci va lei di persona glieli danno i soldi, je danno pure a rivalutazione de’ la pensione de mi’ padre che è stato professore di ragioneria ed è da mo’ che la stamo a chiede’.

Mia mamma riesce a ottene’ tutto. Quanno entra in un negozio pure dove nun fanno sconti je fanno lo sconto, pare che cammina co’ la pistola ‘nda la borsetta e il commesso o la commessa lo sa che gliela punterà addosso se non le fanno lo sconto. A me manco di cinque centesimi di euro al supermercato me fanno lo sconto. “Vuole la busta?”, “Sì”, “Sono trentuno euro e ottantacinque centesimi”, “Guardi, c’ho giusto ottanta centesimi, altrimenti le devo dare quaranta”, “Mi dia le quaranta”. E t’ho servito. Roba che te fanno vergogna’ pure a chiede lo sconto di 0,05 euro.

Se tra voi c’è qualcuno che mi conosce, ma soprattutto che conosce mia madre, lo vedo già che sta ridendo e annuendo con la testa in segno di conferma alle mie parole (“ ‘o so ‘o so, la sora Costantina è così”).

O vedi ma’? Te che dici sempre che nun te penso, sto a scrive pure le storielle su de te (un giorno vi racconterò quando è rimasta bloccata nell’ascensore del palazzo).

Comunque non sto bene (sì, vabbè lamo capito, pure noi non stiamo messi comodi). Le ho provate tutte. Se chiedo di famme puli’ i cessi manco quelli mi fanno puli’. Ci vogliono le competenze (anzi, le skills! Vedi come sona bene invece di competenze?). A quanto pare pure pe’ fa la commessa in boutique devi avere la laurea, un master alla Sorbona e aver vinto almeno tre borse di studio a Cambridge (e non ho neanche aggiunto lo stage nella Maison di Valentino!). Cioè, per piegare delle maglie o dei pantaloni, riordinarli negli scaffali, prendere ordini con i fornitori, provvedere al pagamento alla cassa (contanti o bancomat) e servire il cliente devo ave’ alle spalle la carriera di Berlusconi, quando basta solo la gentilezza? Due so ‘e cose: o i datori di lavoro scambiano la gente per menomata (e quindi non la ritengono capace manco a scarta’ ‘n paio di scatoloni) oppure siamo arrivati a un punto che pure per andare a zappare la terra devi avere il master alla Luiss o alla Bocconi (e comunque, se ce l’hai, manco va bene perché pe’ zappa’ la terra ci stanno gli extracomunitari e tu non rientri nella categoria).

Si lamentano che non trovano gente che non vuole lavorare (ok, ammettiamo per una minima parte che anche questo sia vero), però poi non si rendono conto delle cose – per non dire “stranezze” – che richiedono. Cercano i giovani (ma poi giovani non vanno bene perché non hanno esperienza), cercano gli adulti perché hanno esperienza (ma sei già in età pensionabile e mi costi di contributi), cercano le donne perché sono più pignole e più brave degli uomini (eh ma poi se mi rimani incinta devo pensare a come sostituirti nel periodo di maternità e mi costi il doppio), cercano gli uomini (sì ma deve avere una certa presenza e una certa tempra per ‘sto lavoro)… oh, ma come ca... volo la volete ‘sta gente che deve veni’ a lavora’ pe’ voi, se po’ sape’? State a cerca’ un dipendente, mica il Principe Azzurro!

Non è un reclutamento per il lavoro. È una caccia al tesoro. Vai avanti solo se hai il fattore C, altro che talento, capacità e competenze (c’è tempo pe’ mori’! C’è sempre tempo pe’ mori’).

Quindi che dovemo fa’? Rubiamo? Spacciamo? Truffamo? Ci diamo all’illegalità? Perché alternative non ce ne sono rimaste.

Ci vuole davvero una grande forza d’animo per restare persone normali, umili, corrette, educate e oneste. Di base non è un compito facile, nel tempo che stiamo vivendo è diventato un compito ancora più arduo.

Non sono una persona ottimista, non lo sono mai stata; adesso che lo scrivo mi convinco che il mio pessimismo negli anni sia stato una sorta di scudo per proteggermi dal male che vedo e ascolto tutti i giorni. Come se mi dicessi: “non pensare bene, perché poi se pensi bene e non accade quel che ti aspetti ci rimani male. Se pensi male, invece, sei già preparata al peggio perché non hai alcuna aspettativa”.

Non so se riusciremo a migliorare, se arriverà un tempo in cui le cose cambieranno e, di conseguenza, cambieranno pure le persone. Posso solo sperarlo sforzandomi, nel mio piccolo, di fare la mia parte. È un grosso sacrificio quello che sto per chiedervi, ma sforzatevi di farlo anche voi, perché se vogliamo un mondo migliore il primo passo lo dobbiamo fare ciascuno di noi. Non si può pensare di ottenere quello che si vuole tenendo in considerazione esclusivamente l’aspetto individuale e non collettivo, l’uomo è fatto per vivere nella comunità e quindi deve imparare a rispettare i propri simili anche se la pensano diversamente da lui. L’egoismo, l’arroganza, il potere, il successo non portano da nessuna parte, danno solo l’illusione di essere persone migliori, ma è l’inferno peggiore che possa capitare a un individuo, perché alla fine si ritrova solo e depresso. E si incattivisce. Se invece ci si sforza di mettersi nei panni degli altri, di ascoltarli anche quando non ci va di ascoltarli, di essere generosi emotivamente e mentalmente, le cose assumono un altro aspetto, e la realtà non è più quella schifezza che siamo abituati a vedere e a vivere. Le giornate sì e le giornate no ci stanno, non può essere sempre tutto sì (sai che noia!), ma non può essere neanche tutto no, direte (e che marron!). E non siate incontentabili! Eh, ma non vi sta bene mai niente…

Tocca dasse da fa’, ragazzi. Tutti. Pure se non vi piace. Ci tocca vivere e convivere. Siamo nati per quello.

Non per sopravvivere.





¹ “Sentite: versate subito i soldi a mia figlia perché la ragazza ne ha bisogno. Non sta bene.”

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Umorismo | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 12/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


Ti amo è un tempo finito



Ti amo è un tempo finito

sospeso tra le parole

che non sanno esprimere

quello che per te provo –

perché le parole sono finite,

corte,

troppo piccole

per contenere il mio sentimento

così forte.

Ti amo è un verbo consumato,

abusato,

usato

e io non userò per te frasi già scritte

ed emozioni che sono di altri –

perché il mio amore

come il dolore

è unico

e conosce una sola direzione: la tua.

Ti mentirei se ti dicessi che mi fai stare bene

perché mi fai stare male –

però per il tuo bene

per il bene che ti voglio

mento

nascondendomi dietro a una risata stupida,

compresa solo dagli sciocchi.

Rido anche adesso

che non mi vedi,

perché è buffo

che proprio a te mento

l’ultima persona con cui vorrei fingere nell’universo.

Ti amo è un tempo infinito

che mette a dura prova i nervi

e la resistenza –

è uno spasmo che si appiccica al cuore

e non lo molla

neanche quando smette di gridare,

perché è un tempo sospeso nella vita

senza il conforto della morte.

                             

                               (Charlie)

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Poesia | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 10/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


Condannati a vivere di soli libri?


Diventa sempre più difficile per piccoli e grandi editori sostenere un mercato come quello dell’editoria, ed è per questo che ci si chiede: può un autore, da solo, essere l’unica risorsa delle case editrici? Come può l’editore (e il lettore) vivere di soli libri?

Siamo abituati a concepire le librerie come un luogo dove se ne vendono a centinaia, in realtà, in un periodo di rivolgimenti economici come quello che siamo vivendo, non sono solo i libri a fruttare guadagni agli editori, ma anche altre merceologie; tutto sta nel capire come si conciliano questi servizi con i progetti editoriali. continua a leggere

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Storie di libri e di teatro | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 09/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


Le stagioni di Zhat



Il romanzo di Sonallah Ibrahim, diversamente dai tanti altri testi che siamo abituati a leggere, snoda la sua narrazione nell’Egitto contemporaneo attraverso le tre presidenze di Nasser, di Sadat e di Mubarak, trinità politica che demarca i decenni in cui si sviluppano le vite quotidiane dei personaggi.

Lo scenario, costellato da varie mutazioni che risalgono dagli anni ‘60 agli anni ‘80, è quello di un condominio situato in una zona del Cairo dove si sviluppano le vicende di Zhat (la vera protagonista del romanzo) e suo marito Abdel Meghid, prima giovani sposini e poi maturi coniugi con prole, con tanto di contorno di vicini, parenti e colleghi di lavoro. continua a leggere

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Recensioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 09/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


Femme Letale, la violenza non ha un sesso né un nome


Che cos'hanno in comune Pauline, Juliet, Denise, Catherine ed Elvira, oltre ad essere donne? La debolezza? L'emotività? Il sentimentalismo elevato alla massima potenza? Cos'è che spinge un uomo ad uccidere?Ogni anno in Italia si registrano sempre più casi di femminicidio e il "movente" sembra essere sempre lo stesso: quello di considerare la propria partner come un oggetto personale, spogliata della sua libertà e del suo essere individuo, di cui disporre a proprio piacimento. Ma cosa succederebbe se le cose si capovolgessero? Se la donna, da vittima, diventasse l'esecutore materiale di un omicidio?

​In Femme Letale, spettacolo ideato e diretto da Natascia Bonacci si assiste ad una catartica e distorta rivalsa di quanto avviene consuetudinariamente, così Pauline, Juliet, Denise, Catherine ed Elvira diventano protagoniste di fatti di sangue esponendosi in prima persona e questa volta in vesti insolite: quella del carnefice. continua a leggere

Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Recensioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 09/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


Il fu Mattia Pascal e il flop dell'introspezione



Tra Il fu Mattia Pascal e altri lavori teatrali che lo hanno preceduto adattati da Daniele Pecci la prima cosa che salta all’occhio dello spettatore è la “staticità” della vicenda che vien resa ancora più greve da una scenografia che resta anch’essa immutata per gran parte del tempo. 

La storia comincia dalla fine. È lo stesso Mattia Pascal (Daniele Pecci) a raccontarla. Lo ritroviamo in una biblioteca di un vecchio convento sconsacrato insieme a Don Eligio (Rosario Coppolino) al quale racconta chi egli era e quel che era la sua vita e di quello che gli resta ormai della sua identità.

La scena è allestita con scaffali in legno scuro (costituiti da pannelli scorrevoli che simulano il cambio di scena e di ambientazione) colmi di libri; al centro un tavolo, anch’esso in legno, e due sedie. La cupezza, data dal colore del mobilio, indica che quel che verrà narrato di lì a poco non reca con sé i toni di una felice vicenda ma, al contrario, segnerà le sfumature grigie e drammatiche che ne caratterizzeranno l’epilogo. continua a leggere


Autrice : Carla Iannacone | Categoria : Recensioni | Commenti pubblicati dagli utenti : 0 | Data pubblicazione : 09/12/24

Accedi o Registrati per commentare l'articolo


2025 Copyright: Charlie Brown

Developer : Marco Giuseppe Starace, Versione App: 12.0