Charlie Brown
"Solo gli imbecilli non hanno dubbi"
"Ne sei sicuro ?"
"Non ho alcun dubbio!"
(Luciano De Crescenzo)
Insultare. È diventata prerogativa di chiunque.
In televisione, per strada, in ospedale, sui social, a scuola, al bar, in treno, alla posta, in palestra, alla biglietteria, sulla spiaggia, in metro…
D’accordo, in alcuni luoghi lo si faceva anche prima dell’avvento dei social e dei telefonini, ora non fai neanche in tempo a scostare le lenzuola, buttarti giù dal letto per andare in bagno e ricevi subito il primo insulto della giornata. Praticamente il tanto caro e riguardoso buongiorno degli anni ’90 e precedenti che nel secolo ventunesimo si è dato un “ritocchino” e, come tutti i ritocchini, è diventato tarocco e volgare.
Le prime domande a bruciapelo sono: cosa ci trovate di tanto bello ad insultare? A cosa vi serve, ha per caso un’utilità? Dove la trovate la grinta necessaria di primo mattino per offendere la gente?
Denigrare gli altri è faticoso. A prima vista sembra l’azione più facile.
Coi social il gesto avviene spontaneamente, senza che ce ne rendiamo conto: è l’effetto tastiera che dona la sensazione di avere in mano uno “scettro del potere” perché non c’è nessuno che controlla quello che stiamo facendo e quello che stiamo dicendo (dove non c’è alcun tipo di limitazione non c’è padrone, sono io il padrone).
Questa bacchetta del potere, però, deve essere uno strumento con cui mi avvalgo per poter esprimere un’opinione; non è lo strumento che diventa il mio padrone e io il suo schiavo (situazione paradossale ma concreta perché mentre siamo convinti di avere il controllo, siamo noi, i padroni, quelli ad essere manipolati dall’oggetto).
Non ve ne faccio una colpa, perché come dicevo prima il gesto è diventato spontaneo, è come veder sbadigliare una persona e di rimando sbadiglio pure io.
La settimana scorsa poco ci è mancato che cadessi anch’io nella trappola. Zompettavo qua e là su Facebook e l’occhio mi cade su un commento poco carino su una persona. L’autore del succitato commento – devo dargliene atto – non si era espresso con parole grette, ma ha usato un tono da sfottò per dire la sua. Non lo nascondo: la cosa mi aveva mandato in bestia e mi sono detta “ora mi parte l’insulto”. Alt. Conta fino a dieci. Ti aiuta a trovare la calma e la frase giusta per esternare il tuo pensiero con garbo, senza offendere e magari, chissà, a fargli cambiare anche il punto di vista su quella persona ponendola su un’altra prospettiva. Così ho fatto, e lo scambio di opinioni si è concluso con un vero scambio di opinioni (no pernacchie e no linguacce) senza alzare i toni (ma a modificarli) e senza dileggio.
Immaginate se fosse accaduto il contrario: io cominciavo ad insultarlo, lui rispondeva all’insulto, io avrei continuato coi rimbrotti più duri e crudi e senza freni, poi si sarebbe aggiunto qualcun altro o forse più di uno per schierarsi dalla parte di uno o dell’altra, sarebbe sorta un’altra discussione che avrebbe portato in altra direzione col risultato di scordarci da dove eravamo partiti e perché, e con nulla di costruttivo in mano perché nessuno ha ascoltato nessuno, nessuno ha appreso nulla di nuovo e ognuno è rimasto della propria opinione. Ci saremmo solo ingrossati il fegato moltiplicando il numero dei radicali liberi nell’organismo col rischio di farci venire un infarto o un ictus e farci saltare tutto il sistema nervoso e simpatico (che nel frattempo sarebbe diventato antipatico date le circostanze).
Insultare sembra facile, ma è tutta apparenza. È logorante, e vale tanto per chi viene offeso quanto per chi offende. Non solo si spreca energia e tempo (spesso anche con gente con cui non vale la pena discutere), ma si sottopone il fisico ad uno stress inaudito (e invecchiate pure prima). Prima di tutto, quando si insulta non si impara nulla (non si impara manco ad essere più arroganti o più forti perché se uno è arrogante è arrogante e basta, e la forza non si misura col tono di voce), ci si avvelena la giornata (se parte male, l’arrabbiatura permeerà tutte le ventiquattro ore, ne influenzerà ogni aspetto e ci ridurremo a combinare poco o nulla, e quindi un giorno buttato all’aria), aumenta il senso di frustrazione (perché quel che avremmo detto o fatto nei confronti altrui non è mai abbastanza, il soggetto meritava più disprezzo), si diventa brutti (fate la prova allo specchio: fate una faccia arrabbiata e poi una che sorride, qual è più bella? Quale delle due vi fa sentire meglio?), si diventa cattivi e sempre più soli (passereste il vostro tempo con una persona che non ride mai, capace solo di lamentarsi?).
Infine – cosa più importante – non serve a niente (potrei anche capire lo sforzo di insultare se avessimo un riscontro favorevole, ma non c’è n’è. Morale: lasciate perdere tutto ciò che intossica voi e l’altro).
Se invece provassimo ad ascoltare quel che ha da dire chi ci sta dall’altra parte, senza pregiudizio (pre-giudizio, come dice il termine un giudizio fondato senza la diretta conoscenza dei fatti, delle cose e delle persone) e con pazienza, magari ci scopriremmo pure d’accordo con le sue ragioni (e forse alla fine ci starebbe pure simpatico). Conosco gente che si è persino sposata con chi non voleva nemmeno dividere lo spazio e l’aria assieme a quel tizio o a quella tizia, perché edificare dunque muri di gomma con quanti non la pensano come noi? Ok, non vi sto chiedendo di sposarvi col mondo intero, è giusto avere le proprie idee, il proprio partito politico, la propria squadra del cuore, le proprie passioni, le proprie opinioni, ma questo non comporta che devo tagliare fuori a priori chi non la pensa come me. Ascoltiamo prima cosa ha da dire, poi decidiamo se stare dalla sua parte, condividere il suo pensiero – “allargare” la mente in quanto ci consente di vedere il mondo con altre sfumature – oppure restare fedeli alle nostre ragioni. Mostrarsi ostili prima ancora che l’interlocutore apra bocca (rifiutarlo non solo per le sue opinioni ma perché è omosessuale, extracomunitario, laico, acattolico, ex tossicodipendente o alcolista, disabile ecc.) è come dire che non ci piace la salsa tonnata senza aver prima assaggiato la salsa tonnata.
Perché accettare di presenziare ad una conferenza o a un dibattito se il motivo per cui lo voglio è quello che il pubblico stia a sentire solo me e non gli altri partecipanti? Perché starmene tutto il giorno a chattare solo per il gusto di polemizzare e criticare l’operato e le scelte altrui e, invece, non trasformarlo in pretesto per cercare un confronto costruttivo (hai visto mai che può partire anche un progetto lavorativo e di crescita collettiva)?
Sarà che sono una persona curiosa ma se c’è una cosa che mi fa divertire come una bimba che sta per recarsi alla festa di compleanno della sua amichetta è ascoltare dialoghi (improvvisati, sui treni, in libreria, al supermercato, nelle piazze), discussioni (conferenze, associazioni culturali, laboratori, palestre), storie di quartiere, assistere a siparietti delle persone (per strada, nei condomini, nei parcheggi), insomma raccogliere materiale dalla vita di tutti i giorni per imparare anche dalle piccole cose.
Brevemente: faccio parte di un gruppo di condivisione di libri e di letture ed ogni mese ci ritroviamo (e ci ri-scopriamo) a commentare un libro tra quelli più votati su una rosa di cinque testi a tema comune. In questo gruppo di appassionati del leggere ad ogni incontro, durante la discussione, c’è un acceso scambio di opinioni tra una ragazza e un signore. Ripeto: scambio, non guerriglia su chi ha ragione e chi ha torto (anche se qualcuno, vedendoli, potrebbe pensare che si stanno tirando per i capelli; in realtà è solo passione per i libri, fidatevi. Non ci siamo mai picchiati). Assistendo a questi dibattiti non si può fare a meno di non ridere. V. e G. sono davvero esilaranti e l’aspetto più eccitante è proprio questo confronto di opinioni, riflessioni, interscambi empirici che, seppur “scaldano” gli animi (rendendo il dibattito una sit-com), il risultato finale è quello di uscirne più arricchiti e di avere una visione del mondo secondo infinite prospettive (ascolti, apprendi, ti adattarti a tutto quel che ti circonda, e comprendi).
Azzardo: anche da uno scemo si può imparare (cosa vuoi imparare da uno scemo? vi starete chiedendo. Per esempio a non abbassarsi al suo livello).
Bisogna che l’essere umano sia come una spugna: deve assorbire tutto e lasciar trasudare ciò che non gli occorre.
È vero, come cantava Mia Martini la gente è strana, ma lo spettacolo del mondo sta in questo. E se capita anche a me che talvolta le persone mi fanno arrabbiare e mi sale la voglia di dirgliene quattro, alla fine mi dico che non è insultandole che le aiuto a diventare più belle.
Jean Jacques Rousseau diceva che l’uomo nasce buono, è la società a renderlo cattivo. Non la voglio una società vecchia, amareggiata e cattiva. Pensate prima di agire o aprire bocca.
Insultare è faticoso, inutile, insalubre e non arreca nulla di buono.